lunedì 11 novembre 2019


Peter guidò più in alto che poté, gettò la moto per terra e corse per l’ultimo breve tratto. Si arrampicò sulla nuda roccia e salì fino in cima. Si alzò in piedi, guardò in direzione della spiaggia e il sangue gli si congelò nelle vene. Non si trattava di Hugh. Non si trattava dei bambini. Non si trattavano di urla di giubilo per lo scampato pericolo. Si trattava di Sean. Di quel pazzo di una guida. Quando si erano divisi deve aver veduto Alan e il suo gruppo allontanarsi dal luogo dello scontro.
Folle di rabbia deve essersi precipitato sulla spiaggia, deve aver ricuperato un gommone e deve aver inseguito i fuggitivi. E non vi era alcun dubbio che doveva averli raggiunti perché con la mano sinistra stringeva per i capelli la testa dell’ex-Capo Clan. La mostrava come un trofeo. Le sue urla erano ovviamente di giubilo ma per essere riuscito finalmente a vendicarsi dell’uomo che considerava il vero assassino di sua moglie. In preda a una furia che cresceva a ogni istante, Peter sceso dalla roccia, riprese la motocicletta e si diresse verso il basso, in direzione della spiaggia. Oltrepassò il costone franato, evitò con una serpentina la pozza di sangue alieno, calpestò il prato dove morì la bella Lesley, si incuneò faticosamente all’interno di una foresta di alberi simili a mangrovie, quasi attaccate all’acqua del mare, costeggiò la spiaggia raggiungendo una velocità sostenuta, quando un alieno apparve improvvisamente davanti a lui, uscendo da uno squarcio dimensionale.
L’urto fu talmente forte che Peter fu sbalzato in avanti ed entrò nella luce azzurrognola. Il varco si chiuse alle sue spalle. Il buio colpì i suoi occhi come se fosse una parete solida. Egli rotolò, per quasi una decina di iarde, su un suolo notevolmente freddo e duro, come se fosse fatto di roccia durissima. Peter giunse a essere consapevole che, anche se involontariamente, aveva viaggiato sino alla dimensione aliena.
Era perduto. Se già sulla Terra, il suo mondo natale, la situazione pareva compromessa da un’invasione, qui, nella dimensione aliena, le cose non potevano che peggiorare. Aveva appena compiuto una carneficina usando le sputa-fuoco dei Fuochi Fatui come mai erano state usate da quegli esseri tanto spietati. Lì, in quella dimensione estranea e sconosciuta, avrebbe avuto poche speranze di salvezza.
E poi, non aveva nemmeno saputo che fine avevano fatto Hugh e Sonja. Ancora una volta, gli era stata strappata via dalle mani la conoscenza. La verità, sulla sorte toccata ai suoi familiari e ai più cari amici, si rivelava una chimera sempre più irraggiungibile. Persino Sean, quel pazzo vendicativo di una guida, si trovava ora a una distanza impressionante da lui. Come poteva egli, da solo, avere ragione di un mondo ostile come quello degli umanoidi pesce?
Dopo qualche istante d’incertezza, Peter sgranò gli occhi per cercare di capire dove fosse finito. L’atmosfera di quel luogo era calda e respirabile. Gli sembrava di poggiare le sue membra su qualcosa di solido. Si alzò e si allungò in avanti, tentoni. Fece alcuni passi e toccò qualcosa. Sembrava come un muro di pietra. Ne tastò i contorni lisci e decise di procedere seguendo uno dei due percorsi. Si avviò verso la sua sinistra.
Camminò lentamente fino a quando non intravide una qualche forma di luce. Toccò nuovamente una parete solida e comprese che avrebbe dovuto obbligatoriamente svoltare alla sua sinistra. Cominciò a udire dei suoni. Dapprima erano appena percettibili e confusi ma, poi, essi si fecero sempre più forti e distinti. Anche il buio cominciò a diradarsi fino a sparire del tutto. La zona, verso la quale si stava avviando, era sufficientemente illuminata, anche se in modo spettrale e certamente aliena. Una luce azzurrognola, brillante e continua, riempiva ogni centimetro di spazio visivo.
Continuando a procedere in avanti, vide che si trovava in un largo corridoio di pietra e la luce si faceva a ogni passo più intensa. Al termine del suo percorso, poté scorgere, davanti a sé, un’ampia scalinata di pietra che gli ricordava quelle Maya. Le aveva viste nei libri di scuola, nei reportage fotografici dei programmi televisivi e nelle brochure delle agenzie di viaggi. I gradini erano perfettamente illuminati da una luce intensa ma non tanto da accecare gli occhi. Sembrava giungere proprio dal basso e non era riflessa. Peter si avvicinò ai gradini con grande cautela nel timore che nascondessero qualche insidia. Parevano essere fatti di solida pietra, fredda, levigata e umidiccia, anche viscida. Vinte le resistenze iniziali, si lanciò con impeto. Salì e salì ancora. Continuò a percorrere quei gradini a due a due. Salì e continuò a salire. Le scale, o quello che erano, continuavano a portarlo verso l’alto. Sempre più in alto. Sembrava di ascendere alle scale dell’Infinito. Peter fu colto da un’ansia improvvisa. Pensò che se doveva morire in quella dimensione aliena tanto valeva farla finita il più in fretta possibile. E, meglio ancora, portando con sé quanti più maledetti Fuochi Fatui poteva riuscire a vedere. Perciò salì e salì ancora. Con rabbia. Con tenacia. Con desiderio. Con voglia... Tornò a combattere. Aggredì quegli scalini come se si trattassero di extra-terrestri. Nel suo immaginario, calpestò innumerevoli corpi di alieni sdraiati e agonizzanti. E gli piacque. Con un sadismo che sapeva di inumano.
Salì abbandonando ogni forma di cautela e prudenza. E più si allontanava dal punto di partenza più sentiva invadere le sue narici di un intenso profumo di salsedine. Gocce d’acqua gli imperlavano la fronte e gli inzuppavano gli indumenti. Dopo circa mezz’ora, ammesso che il concetto di tempo che lui conosceva avesse ancora un significato, arrivò alla sommità di quella scalinata. Smise di salire. La frenesia che lo aveva colto e rapito, sino a qualche istante prima, lasciò spazio alla logica, alla razionalità.
Il terreno che aveva sotto i suoi piedi era sempre illuminato. Anzi, era ancora la fonte stessa della luce. Così, egli intuì di essere giunto in cima a qualunque cosa aveva freneticamente scalato in quel lasso di tempo. Teneva un coltello sempre con sé e le due pistole da duello rinfoderate nelle rudimentali fondine, che si era cucite e che teneva allacciate al fondo dei pantaloni. Sospirò. Raccolse quanto fiato gli occorreva. Estrasse il coltello ancora macchiato del sangue alieno. Solamente allora si accorse che aveva lo stesso colore della pozza nella quale slittarono le gomme della sua motocicletta.
Bene. Pensò. Se quelle orrende creature incroceranno la sua strada avranno un altro motivo per capire che egli aveva già ucciso dei suoi simili. E non aveva alcuna intenzione di smettere. Alla fine della scala Peter ritrovò la barriera di pietra e dovette nuovamente scegliere quale direzione percorrere. Questa volta seguì la barriera dal suo lato destro. Puntò nuovamente il coltello avanti a sé, deciso a vender cara la pelle. S’incamminò, sperando di essere preparato per le incognite che quello strano nuovo mondo gli stava proponendo.
Pensò a Lesley, a Sonja, e al loro sangue che bagnava le sue braccia. Ricordò i suoi due figli, Harry e James, e la moglie, Brooke, di cui ancora non aveva avuto alcuna notizia, di cui non conosceva la sorte. Pensò a tutti coloro che avevano riempito di significati e di emozioni la sua vita e che erano scomparsi non per un evento naturale ma per il proditorio e vile attacco di esseri tanto spietati quanto folli.
Peter imputò ogni vita umana perduta all’insensatezza di quegli alieni, incapaci di provare amore e compassione. Mentre procedeva, s’infradiciava sempre di più, tanto che rinunciò a evitare di fare rumore. Non aveva una cornamusa. Non avrebbe saputo suonarla, come aveva fatto Hutchinson, ma convenne che anche dei semplici passi con delle scarpe, rese pesanti dall’acqua, poteva diventare una melodia funebre per i Fuochi Fatui. Con questa convinzione procedette spedito e comprese di essere finito in una grotta marina, piena di echi e rumori, di scrosci di onde che s’infrangevano contro delle rocce. La sua attenzione fu attratta dal suono inconfondibile di voci umane.
Si diresse in un angolo asciutto della grotta dal quale s’intravedeva una sorta di corridoio naturale. Entrò con cautela, seppur determinato a scoprire l’origine di quei suoni familiari. Camminò rasente alla barriera che lo aveva accompagnato in quel sinistro viaggio, cercando di non scivolare sulla pietra del suolo, lucida come marmo e bagnata. Al fondo di quel piccolo corridoio, si scorgeva una luce intensa e gialla. Peter arrivò fino a quel punto e la sua mente credette di impazzire.
Vide una grotta illuminata a giorno, con acqua corrente che scendeva in leggere cascate dalle sue pareti, vasta almeno quanto un campo da calcio. Ciò che gli fece perdere il controllo fu la vista di uomini, donne e bambini. Schiavi con in groppa degli zaini fatti di una sostanza che ricordava il vimini e che trasportavano un elemento all’apparenza putrescente di colore verde intenso. Le donne e i bambini trasportavano, a fatica, corpi umani nudi per buttarli in una pozza con del liquido del colore e della densità del petrolio. Altri umani urlavano e sbraitavano contro tutti, schioccando una rudimentale frusta, dagli effetti sonori e dalle devastanti capacità di infliggere dolore. Peter rimase sgomento. Era quella la fine della razza umana? Non ci fu il tempo di porsi nuove domande che vide un’alabarda puntare velocemente su di lui. Ebbe appena il tempo di schivarla.


Nessun commento:

Posta un commento